La pancia triste dell’America — 4. Al nopal lo van a ver solo cuando tiene tunas

Diego Rivera, La historia de México (part.). Città del Messico, Palacio Nacional.

di Stefano Filauro

“Al nopal lo van a ver solo cuando tiene tunas” è un popolare proverbio messicano che in italiano potrebbe essere tradotto a un primo sguardo come: “Il cactus [nopal] lo notano solo quando porta i fichi d’india [tunas]”. Il proverbio può essere applicato ad una vasta casistica di situazioni di cui ne sono esempi calzanti l’improvviso interesse di un amministratore pubblico verso i suoi elettori in corrispondenza di una tornata elettorale, l’adulazione sperimentata da un fresco vincitore di una lotteria, le cure improvvise ricevute da un ricco moribondo sul letto di morte. Ovvero tutte circostanze accomunate dall’improvviso interesse procurato dal sorgere di una nuova contingenza, come è la maturazione dei colorati e succosi fichi d’india per un cactus.

Dunque per analogia, saremmo portati a pensare che il nopal non desti in condizioni abituali alcun interesse. Eppure, tale proverbio viene smentito da una lunga tradizione di cucina meso-americana che vede nella cactacea un formidabile ingrediente da cucina. E non solo, il nopal è anche molto altro, è un simbolo pluricentenario che entra di diritto nell’olimpo della simbologia nazionale.

Appare infatti nello scudo al centro della bandiera federale che riporta l’immagine stilizzata di un’aquila intenta a divorare un serpente appollaiata proprio su un grande nopal. Il variopinto scudo si ispira direttamente ad una nota leggenda precolombiana, quella della fondazione di Tenochtitlán, l’attuale Città del Messico. Si narra infatti che il Dio del Sole e della Guerra, Huitzilopochtli, avesse predetto alle popolazioni azteche che esse avrebbero trovato la loro terra promessa, foriera di prosperità e successi militari, nel luogo dove avessero scorto l’aquila sopra il nopal nell’atto di sbranare un serpente. Proprio su quell’area sorse mitologicamente Tenochtitlan, la cui etimologia nahuatl secondo recenti studi potrebbe proprio significare luogo dove crescono i fichi d’india sulla pietra.

Quello stesso nopal della mitologia azteca, che per ricchezza di immagini e potenza simbolica sbaraglia nettamente le più immaginifiche e occulte iconografie massoniche, è anche erede di una lunga tradizione alimentare per cui viene coltivato e commercializzato in tutto il suo paese. Da qui la sua mercificazione da simbolo stilizzato di identità nazionale a versatile ingrediente da cucina.

Una volta rimosse le spine infatti, in ragione della consistenza fibrosa delle sue foglie, il cactus diventa un alimento nutriente ben adattabile a insalate, zuppe, stufati e arrosti.

Così, dopo essere stato bollito e sfilettato, sarà possibile incontrare il nopal in numerosi piatti: ad esempio come ingrediente principe dell’insalata, accompagnato a pomodori, cipolla, chile e coriandolo oppure amalgamato con formaggio fuso come ripieno delle quesadillas.

E come scordarsi di menzionare i nopalitos en salsa verde o en chile rojo, le cui salse1 vengono usate per insaporire la foglia di nopal ridotta a pezzettini.

Dunque la secolare tradizione popolare che invita a disinteressarsi del nopal quando non sia carico di fichi d’india viene ampiamente sconfessata dalla prassi alimentare che lo vede un ingrediente largamente diffuso in tutto il paese.

E per testimoniare quanto il nopal sia presente non solo nella vita quotidiana e nella simbologia popolare, ma anche nella cultura nazionale, basta ricordare che quando a Carlos Fuentes fu chiesto durante un’intervista in quale essere vivente avrebbe voluto reincarnarsi, quel libero, curioso e celebrato intellettuale messicano rispose laconico: “En un nopal”.

Certo, in compagnia del suo tanto colorato quanto dolce frutto, la tuna, il nopal assume tutt’altro portamento. La tuna infatti si presenta normalmente in tre colori accesi – verde cipollino, arancio sbiadito o viola intenso – che si integrano magnificamente al verde scuro del nopal per caratterizzare un prototipico panorama desertico o balneare messicano.

Inoltre la tuna, decorticata e ripulita dalle sue piccole e ostiche spine, entra nella preparazione di svariati dolci e bevande. Licuados e jugos – frullati e succhi – di tuna sono molto dissetanti e diffusi, così come le rinomate gelatine e la golosa nieve. Quest’ultima è un rinfrescante gelato, quasi un sorbetto che, come suggerisce il nome, ricorda appunto la consistenza della neve.

E ancora le sue innumerevoli proprietà benefiche, già note alle popolazioni preispaniche, quali il suo potere diuretico, antidolorifico, antispasmodico e perfino anti-diarroico, rendono il frutto del nopal un naturale rimedio a molte pene, alleviando così le condizioni di popolazioni che, come nel caso di Città del Messico, vivono per larga parte senza accesso ad acqua potabile per gli usi più quotidiani, incrementando il loro rischio di soccombere a fastidiosi problemi gastrici.

Se dunque siete golosi della tuna se non volete fare a meno delle sue conclamate proprietà nutritive e del suo gusto fresco e acceso, vi ammoniamo però anche a non ignorare le sue verdi foglie, la sua robusta pianta, la sua spinosa origine mitologica. Così, giusto per evitare di finire schiacciati negli ingranaggi dell’infinità saggezza popolare, che accosta all’apprezzamento della tuna destituita del nopal solo secondi fini e interessi venali.


Note:

[1] Le stesse salse di condimento dei chilaquiles, vedi parte 1. ^

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