Eels, Pie, and Mash: l’East End di Londra e la cultura delle anguille

Eel-Pie-and-Mash

Siamo abituati a conoscere l’anguilla, fritta o in umido, come uno dei più rappresentativi elementi della tradizione natalizia del sud Italia o, come a Comacchio, consumata durante tutta la stagione, arrostita alla brace. Oltremanica, invece, l’anguilla ha una tradizione particolare di cucina povera e popolare, indissolubilmente legata alla storia e alla cultura della zona di cui è tipica, l’East End di Londra.

Situato sulla sponda nord del Tamigi, delimitata a ovest dalla city e ad est dal fiume Lea, l’East End di Londra non ha una definizione geografica ufficiale, sviluppandosi continuamente al ritmo dell’espansione dell’intera metropoli, dettato inizialmente dalla rivoluzione industriale, che ha trovato sul fiume Lea la sede delle principali manifatture londinesi, e poi da successive ondate di migrazione dalle colonie e dalla sempre crescente speculazione immobiliare, che determinando un aumento vertiginoso degli affitti hanno spinto molta gente a spostarsi verso la periferia orientale, estendendo i confini della zona fino a Dagenham.

Paul Trevor, Officina di carpenteria. Brick Lane, 1977. © 2007 Paul Trevor.
Paul Trevor, Officina di carpenteria. Brick Lane, 1977. © 2007 Paul Trevor.

Nella storia dell’East End – e nella nostra storia di anguille – ha però giocato un ruolo da indiscusso protagonista il vento che soffia nella capitale da sud-ovest, le tracce della cui azione sono visibili sulle facciate sud e ovest della cattedrale di St. Paul, sbiancate dalla pioggia battente ed erose dai detriti trasportati dal vento. È questo vento che, portando con sé i fumi delle prime ciminiere, ha caratterizzato fin dal ‘600 l’ovest di Londra come una zona relativamente poco inquinata, trasformandola nell’appetibile zona residenziale il cui carattere mantiene oggi più che mai. L’est di Londra, al contrario, cominciò ad ospitare le abitazioni più a buon mercato in cui potevano risiedere gli operai dei docks, definendosi come la zona operaia per eccellenza. Prima che le vicende di Jack lo Squartatore scatenassero la fantasia dei giornalisti, alimentando la fama dell’East End come zona malfamata (tanto che Jack London la definì senza mezzi termini “l’abisso”), quel lembo di terra compreso tra il Tower Bridge e la sponda ovest del fiume Lea era il cuore pulsante dell’industria londinese, con la sua concentrazione di tintorie, industrie chimiche e produttori di letame, manifatture di colla e di paraffina, fabbriche di vernice e concimi vari. L’identità operaia della zona era così forte da attrarre attivisti politici da tutta la nazione e non solo. Qui aveva sede il Circolo degli Anarchici frequentato da Malatesta e Kropotkin e visitato in più occasioni da Lenin. Qui, nel 1936, l’Unione britannica dei fascisti di Oswald Mosley fu sbaragliata durante una guerriglia urbana che divenne nota come “battaglia di Cable Street”, dal nome della strada di Whitechapel in cui gli antifascisti eressero le barricate per impedire la marcia antisemita.

Battaglia di Cable Street
Battaglia di Cable Street (1936).

Tale identità operaia trovava corpo nello stereotipo del cockney, l’East Ender popolare dalla caratteristica parlata quasi priva di consonanti e con le vocali arrotate. L’accento cockney diveniva anzi una vera e propria lingua grazie al suo rhyming slang, un complicato dialetto in cui le parole vengono sostituite da altre che fanno rima con le prime – come nella famosa espressione “apples and pears”, che sostituisce il più ovvio “stairs” – il cui codice veniva appreso col latte materno da coloro che, come vuole la tradizione, sono nati dove si possono sentire le campane della chiesa di St Mary-le-Bow appena dietro a St Paul, ma che doveva invece risultare incomprensibile alle orecchie indiscrete della polizia che indagava sui traffici che avvenivano lungo i docks.

Paul Trevor, Mercato domenicale. Cheshire street, 1976. © 2007 Paul Trevor.
Paul Trevor, Mercato domenicale. Cheshire Street, 1976. © 2007 Paul Trevor.

Qualcuno ha suggerito che il termine “cockney” derivi dal latino coquina, ad indicare il brulicare di venditori di cibo da strada che ha caratterizzato la vita londinese fin dagli albori. L’etimologia più probabile sembra però da ricercarsi nell’espressione “uovo di gallo” (cock’s egg, o, in inglese medievale, coken ey) che indicava le uova dalla forma inusuale. Sia come sia, le radici culinarie della parola ben testimoniano il ruolo della cultura gastronomica come il tratto più distintivo dell’identità dell’East End. Se il pasticcio di carne in crosta, nelle sue varianti regionali, è un simbolo della cucina popolare britannica fin dalle sue origini, per la sua agibilità ad essere trasportato lungo le rotte fluviali e marittime che assicuravano l’attività commerciale dell’isola, in epoche in cui la carne scarseggiava era il Tamigi stesso a fornire la materia prima. Ostriche ed altri molluschi facilmente accessibili alla pesca venivano da sempre venduti al dettaglio lungo tutte le strade di Londra, per non parlare del piatto nazionale, il fish and chips, a base di filetto di merluzzo, di haddock (simile al merluzzo e diffusissimo nelle aree atlantiche, specialmente in Scozia), o più raramente di platessa.

jellied
Jellied eels, in porzione da asporto.

Quando però l’inquinamento industriale raggiunse livelli che hanno scolpito per sempre l’immaginario della città, fu l’anguilla a ritagliarsi un posto di rilievo nella dieta cockney. Una delle poche specie capace di resistere agli alti livelli di inquinamento da scarichi industriali delle acque del Tamigi, con le sue carni grasse l’anguilla forniva l’apporto nutritivo necessario a sostenere le lunghe ore di lavoro manuale negli stabilimenti portuali. In una cucina prevalentemente povera e popolare, l’anguilla veniva consumata senza particolari sofisticazioni, tagliata a tocchi e bollita in una mistura di acqua e aceto aromatizzati e poi lasciata a raffreddare nel brodo di cottura che, grazie al collagene presente nelle proteine rilasciate dall’anguilla, si solidifica dando origine alla caratteristica “anguilla in gelatina” (jellied eel), da consumare al cucchiaio, anche in versione “da passeggio”. In alternativa, le anguille potevano essere stufate in un semplice brodo con l’aggiunta di prezzemolo (liquor), che dava sapore e colore al piatto, altrimenti piuttosto scarno. In questa versione, l’accompagnamento principe era il purè di patate (mash), particolarmente adatto a stemperare il brodo verde. Il piatto completo prevedeva perciò, a seconda della disponibilità, anguilla, pasticcio di carne e purè, Eel, pie and mash (nella foto in apertura dell’articolo), che dava anche il nome alle rustiche tavole calde in cui veniva servito. Spesso però era l’anguilla stessa a sostituire l’agnello o il manzo come ripieno della sfoglia del pasticcio, cosa che peraltro permetteva anche la vendita in strada e all’aperto proteggendo al contempo l’anguilla dalle polveri e dalla fuliggine provenienti dalle ciminiere delle fabbriche che popolavano la zona.

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L’interno di “M. Manze’s”, il più antico eel & pie shop di Londra. © 2013 Oli Scarff.

Oggi, l’anguilla è quasi scomparsa dalle acque del Tamigi e la classe operaia bianca londinese non esiste più, spazzata via dalla riconversione economica della città che ha attirato nuove ondate di migrazione dalle ex-colonie, trasformando quella che una volta era una zona operaia in un brulicante melting pot di etnie con il loro apporto di ingredienti esotici e cultura gastronomica finora sconosciuta. La cucina indiana, in particolare, ha già ridefinito quella inglese, venendo assimilata nell’identità nazionale come già era stato per il tè ai tempi dell’Impero Britannico. Insieme alla cultura cockney, si sono diradati fino a scomparire anche i tradizionali Pie and mash shop, con le loro caratteristiche pareti in ceramica decorata bianca e verde, gli spartani banchi di legno e i tavoli di marmo, le vasche metalliche in cui contenere anguilla e gelatina e la grossa marmitta per il purè. Fred Cooke, proprietario di uno dei più famosi pie and mash shop di Londra, ha chiuso nel 1997 il suo locale di Dalston aperto decenni prima dal nonno, lasciando il posto a un anonimo ristorante cinese che ha mantenuto un bizzarro connubio tra cucina orientale e arredamento inglese tradizionale.

Robert Cooke, quarta generazione, davanti al suo “F. Cooke” di Broadway Market.

A Broadway Market, frequentatissimo dagli hipster, permane ancora un ristorante a insegna “F. Cooke” che la sera si trasforma spesso in un locale con tanto di musica e luci al neon. A servire ancora anguille secondo la ricetta originale, sotto lo Shard di Renzo Piano, è “M. Manze’s”, aperto al giro del secolo scorso dall’italiano Michele Manze giunto a Londra in una precedente ondata migratoria, aggiudicandosi il primato di più antica eel and pie house di Londra con tanto di targa commemorativa ufficiale destinata ai luoghi più significativi del Regno Unito. Sotto la placca blu, campeggia però un cartello scritto a computer: “Ci dispiace informarvi che la disponibilità di anguille è estremamente bassa, e di conseguenza i prezzi aumentano continuamente. È possibile che la fornitura di anguille scompaia completamente nel prossimo futuro.”

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Un pensiero riguardo “Eels, Pie, and Mash: l’East End di Londra e la cultura delle anguille

  1. Merita un approfondimento la cultura dell’ anguilla fritta, tipica del Polesine e del delta del Po. Qual è il ponte fra l’East End e il Delta?

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